I fondamentali nel judo
Una sana pratica del Judo si basa, e non vi può prescindere, da alcuni concetti e tecniche fondamentali che sono le basi per una pratica corretta e sicura, non ché i pilastri su cui lo studio del Judo deve sempre basarsi sia per il principiante che per il judoka esperto finanche per il Maestro.
Posizione di equilibrio, disequilibrio e squilibrio del corpo umano
La condizione “fisica” di equilibrio stabile è definita come quello stato di un corpo, per cui una forza orizzontale, applicata ad esso, può provocare solo l’innalzamento del baricentro del corpo.
Nel caso del corpo umano, solamente la posizione di giacitura supina o prona su un piano orizzontale, gode di tale proprietà; mentre la posizione naturale in piedi, detta di stazione eretta, è una posizione di equilibrio instabile di tipo oscillatorio, ciò a causa del fatto che le forze di contrazione muscolare, che equilibrano la forza di gravità agente sul corpo, risultano non essere costanti perché risultanti di un delicato gioco di muscoli agonisti ed antagonisti detti posturali. L’azione equilibratrice prodotta dai vari gruppi posturali è governata dai centri nervosi cinestetici, governati dal cervelletto.
Per tale ragione l’atleta può utilizzare per il mantenimento della stazione eretta, solo l’area detta di appoggio effettivo, cioè quella superficie trapezoidale avente per lati i suoi due piedi e le linee congiungenti gli alluci ed i talloni (superficie trapezoidale ottimale).
Per tale ragione l’atleta può utilizzare per il mantenimento della stazione eretta, solo l’area detta di appoggio effettivo, cioè quella superficie trapezoidale avente per lati i suoi due piedi e le linee congiungenti gli alluci ed i talloni (superficie trapezoidale ottimale).
ABCD = Superficie trapezoidale ottimale (equilibrio)
EFGH-ABCD = Zona di mantenimento (disequilibrio)
P = Perpendicolare baricentrale
P' = Proiezione del baricentro
Egli potrà spostare il punto di proiezione del suo baricentro, giacente sul piano d’appoggio, e quindi la verticale detta perpendicolare baricentrale, per tutta l’estensione di questa superficie ottimale mantenendo facilmente la posizione d’equilibrio. Se però tale linea, e dunque la proiezione del baricentro, si allontanano dalla superficie trapezoidale ottimale solo di poco (zona di mantenimento), la stabilità sarà compromessa, e sarà necessario uno sforzo maggiore da parte dei muscoli equilibranti, questa condizione viene detta di disequilibrio. Nel caso in cui la proiezione del baricentro si allontani oltre i limiti della zona di mantenimento, il sistema muscolare dell’atleta non può ristabilire la posizione di stazione eretta e si ha lo squilibrio o rottura dell’equilibrio con conseguente caduta dell’atleta.
La stabilità meccanica del corpo in stazione eretta dipende dunque da due fattori:
- ampiezza della base d’appoggio;
- distanza della perpendicolare del baricentro dal confine della base d’appoggio.
Tanden ("energia
addominale") e hara
Un termine del Judo tradizionale, che oggi purtroppo sta sparendo, è tanden. Solitamente, nel Judo occidentale, per tanden si intende il centro gravitazionale, il baricentro del corpo umano, che è l'area addominale sottostante l'ombelico, ma non è solo questo. In Oriente si ritiene che in quest'area vi sia il nucleo del Ki (energia vitale, universale), che in questo caso prende il nome di hara. Sia il tanden, l'hara che il Ki sono elementi fondamentali in tutte le forme di medicina asiatica dall'agopuntura, allo shiatsu, l'ajurveda e tante altre.
La traduzione di tanden è molto esplicativa: tan significa essenza, riferito proprio alla medicina e den significa campo di riso. Il tanden dunque non è un punto, ma una distesa che attraversa il basso addome e che, come una risaia, si può dividere in più sezioni. Questo punto non ha quindi una grandezza o posizione definibile. La sua posizione slitta più in basso e perfino fuori del corpo, quando la parte superiore del corpo è inclinata in avanti o all'indietro.
Tra tanden ed hara non c'è differenza, nella loro interpretazione forse cambia leggermente il tipo di energia a cui fanno riferimento: per til tanden più fisica; per l'hara più vicina al Ki.
Nel Judo ogni gesto tecnico deve originare dal tanden per raggiungere la sua perfezione ed il tanden è il centro motore di ogni nostro movimento, la consapevolezza del proprio centro di gravità è essenziale se si vuole sviluppare e migliorare la propria tecnica.
Studi di biomeccanica del Judo che hanno voluto assegnare al tanden un punto definito, hanno dimostrato che il posizionamento del baricentro generale biomeccanico e la posizione del tanden non coincidono, essendo quest’ultimo spostato in avanti con la sua proiezione sulla superficie trapezoidale ottimale di circa l’1,6%, e più in basso di circa l’1%. Ciò nonostante tra baricentro e tanden esiste un'importante sinergia, e gli esercizi per il suo potenziamento sono tutt’oggi validissimi.
L’espressione giapponese Saika tanden, significa cintura addominale. Nel Judo una forte cintura addominale rende notevoli servizi nella pratica. Al fine di aumentare la potenza addominale, oltre ai movimenti tendenti a sviluppare i muscoli stessi, è stata studiata tutta una serie di esercizi di respirazione.
In un antico testo giapponese che tratta del modo di mantenersi in salute, nel capitolo della respirazione, si legge così: “Mettetevi distesi, o meglio seduti, col busto dritto e rivolti verso il sol levante. Fate trenta respirazioni molto profonde. Tenete gli occhi socchiusi in modo che possiate respirare profondamente e con calma. Stringete i denti ed esalate il respiro dalla bocca, espellendo l’aria lentamente come una brezza mattutina che scaccia la nebbia. Inspirate piano con il naso e rinfrescherete il vostro sangue riempiendo il vostro tanden con l’aria fortificata dai raggi del sole, alla maniera dei fiori che assorbono le onde dell’etere”.
In pratica riempiendo l'addome d'aria, si mantiene molto meglio l’equilibrio; questo è dovuto alla concordanza che c’è tra baricentro e addome.
Perciò, in ogni azione di spostamento, squilibrio o di bloccaggio, un buon Judoka non deve mai dimenticare che tutti i movimenti devono essere eseguiti tenendo presente la posizione del centro di gravità in quel momento.
Shisei (posizioni "del corpo")
La posizione è la maniera di dirigere il corpo e rendere efficace il movimento, l’attacco e la difesa, la collaborazione con il compagno per un continuo progresso. Essa implica il controllo della mente e l’opportuna disposizione spirituale.
Le posizioni fondamentali per le tecniche di proiezione sono di tre tipi:
- shizen-hon-tai
(posizione naturale fondamentale) e le sue due varianti a seconda che si sposti in
avanti il piede destro (migi-shizentai) o il sinistro (hidari-shizen tai);
- jigo-hon-tai (posizione
difensiva fondamentale) anch'essa con le sue due varianti destra (migi-jigotai) e
sinistra (hidari-jigotai).
- kogheki-shisei (posizione d'attacco)
esiste solo nelle forme destra (migi-kogheki-shisei) e
sinistra (hidari-kogheki-shisei).
Esistono poi altre posizioni del corpo, tra cui chokuritsu-shisei (posizione eretta tenendo i talloni uniti), taka-kioshi-no-kamae (posizione del ginocchio abassato, inginocchiata), e le posizioni a terra i cui nomi non vengono generalmente usati.
La posizione del corpo viene impostata nel principiante e continuamente lavorata nell'esperto; essa distingue lo shodan (piccolo esperto o primo grado d'esperto) dal judan (decimo grado d'esperto). All'occhio del Maestro d'alto grado, la posizione rivela il livello del praticante.
Shizen-hon-tai (posizione naturale fondamentale)
È la posizione naturale del corpo in stazione eretta.
Per eseguire shizen-hon-tai occorre divaricare le gambe di una ampiezza uguale a quella delle spalle. Le ginocchia sono leggermente flesse, in tensione ma assolutamente non rigide. Anche pancia e addome sono in leggera tensione ma con il diaframma leggermente espanso. Le braccia sono distese naturalmente lungo i fianchi e rilassate come le spalle. Il viso è rivolto naturalmente in avanti e non deve essere contratto. Lo sguardo è sereno e vigile diretto verso un vacuo punto immaginario (o verso l'avversario) per ricevere stimolo da tutto il campo visivo (è noto che la visione periferica dei buoni judoisti è allargata rispetto a quella dei non praticanti), la bocca è chiusa. La mente è limpidamente vuota, pronta a disposozione dell' esercizio che ci si accinge a compiere (attenzione durante lo studio, concentrazione nel randori (esercizio libero), meditazione, cioè concentrazione sul nulla, in shiai (combattimento) e kata ((forma).
Per eseguire le due varianti di shizen-hon-tai a destra ed a sinistra (migi e hidari-shizentai), dalla posizione fondamentale si compie un passo in avanti o in dietro, con la gamba destra o con la gamba sinistra, avendo cura di mantenere il peso del corpo equilibrato su entrambe le gambe. Il tallone del piede che rimane dietro deve essere leggermente girato verso l'interno.
Shizen-hon-tai è la posizione ideale per eseguire tutti i movimenti sia di attacco che di difesa, consentendo agili e rapidi spostamenti in tutte le direzioni, è la più stabile e la meno faticosa. Occorre sempre tenerla a mente per evitare rischiosi vizi di posizione durante l'allenamento: eliminando gli irrigidimenti inutili; mantenendo la colonna vertebrale eretta; mantenendo una respirazione diaframmatica profonda ma naturale.
Posizione
naturale fondamentale
(shizen-hon-tai)
Posizione
naturale destra (migi-shizentai)
e sinistra (hidari-shizentai)
Jigo-hon-tai (posizione difensiva fondamentale)
È la posizione difensiva in stazione eretta.
Per eseguire jigo-hon- tai, prendendo come riferimento shizen-hon-tai, occorre divaricare maggiormente le gambe di circa 30, 40 cm, e le ginocchia vanno ulteriormente flesse di conseguenza. Il tronco va abbassato ed il bacino ruotato in avanti. Il peso va equamente distribuito sulle gambe ed il viso rimane dritto in avanti. Tutto il corpo è pieno di forza nel bloccare e contrastare l'avversario. La mente è aperta verso difese e contrattacchi.
Per eseguire le due varianti di jigo-hon-tai a destra ed a sinistra (migi e hidari-jigotai), dalla posizione difensiva fondamentale si compie un passo in avanti o in dietro, con la gamba destra o con la gamba sinistra, avendo cura di mantenere il peso del corpo equilibrato su entrambe le gambe. Il tallone del piede che rimane dietro deve essere leggermente girato verso l'interno.
Jigo-hon-tai è una posizione
"rischiosa" che assolutamente non deve essere assunta come
posizione abituale d'allenamento.
È utile in
combattimento essendo ideale per l'esecuzione della difesa, in particolare
la "go" (difesa dura, di forza), ma a parte
questo caso è da considerarsi una tecnica disperata, da utilizzarsi solo
quando tutti gli altri mezzi di percezione intuitiva per schivare
l'avversario hanno fallito, ritornando rapidamente da jigo-hon-tai a
shize-hon-tai.
Posizione fondamentale (jigo-hon-tai)
Posizione
difensiva destra (migi-jigotai),
e difensiva sinistra (hidari-jigo tai)
Kogheki-shisei (posizione d'attacco)
È la posizione d'attacco in stazione eretta ed esiste solo nelle forme destra (migi-kogheki-shisei) e sinistra (hidari-kogheki-shisei).
Per eseguire kogheki-shisei i piedi devono essere ad angolo retto fra loro, una gamba profondamente avanzata verso l'avversario, ginocchia semiflesse e peso del corpo ben distribuito sulle gambe. Le braccia e le mani sono sollevate in posizione di guardia, e la presa (vedi sottosezione Kumi-kata) specifica della mano più alta è sul bavero all'altezza del collo dell'avversario. La mente è aperta al principio "sen" (iniziativa diretta).
Spostamenti del corpo
Gli spostamenti dalla posizione eretta, nel Judo, vengono eseguiti nella maniera più razionale possibile. L'avanzare, l'indietreggiare, lo spostarsi a destra o a sinistra, non è un semplice movimento per spostare il corpo, è una tecnica che permette l'attacco e la difesa. Il corpo infatti deve muoversi con leggerezza, rapidamente e senza mai essere in squilibrio, con il baricentro sempre alla stessa distanza dal suolo.
Per ottenere questo scopo, si utilizzano due modi base di spostarsi:
Si tratta di movimenti educativi per meglio comprendere la posizione, ai quali, nella pratica, si sommano movimenti più complessi. Sono pura posizione applicata, un indispensabile strumento d'apprendimento per il principiante, e di studio per l'esperto.
Shintai (spostamenti rettilinei)
Per shintai si intendono spostamenti assiali nella posizione eretta. I fondamentali sono tre:
- tsugi-ashi ("piede scaccia piede") dove un piede è usato come conduttore mentre l'altro si avvicina a pochi centimetri dal piede trainante prima che venga fatto il passo successivo. La marcia del piede è normale, cioè il piede in moto si solleva da terra. Tsugi-ashi è eseguito in tutte le possibili direzioni;
- ayumi-ashi (passi naturali), in cui un piede supera l'altro ad ogni passo. La marcia del piede è normale, cioè il piede in moto si solleva da terra. Raramente usato a contatto con l'avversario;
- tsuri-asci (passi "strischiati"), è un particolare modo di muoversi applicabile allo tsugi e all'ayumi-ashi. Significa spostarsi mantenendo il baricentro del corpo sempre alla stessa distanza dal suolo, giocando sul molleggio delle gambe, e senza sollevare i piedi da terra.
Tai-sabaki (spostamenti circolari)
Per tai-sabaki si intendono spostamenti circolari nella posizione eretta.
Il grande Maestro Kyuzo Mjfune, ha dichiarato in diverse riprese:
"il tai-sabaki è la prima e ultima tappa del Judo”.
Questo straordinario Maestro, che ha sviluppato forse più di ogni altro il concetto stesso di tai-sabaki, considera questa tecnica come l’essenza stessa del Judo e di ogni azione umana.
Tai-sabaki significa letteralmente rotazione del corpo, movimento rotante del corpo
Teoria
Per comprendere visivamente l’abc del tai-sabaki, consideriamo il corpo in piano visto dall’alto e come asse la linea delle spalle che può ruotare sul proprio centro. Se un avversario spinge su un’estremità delle spalle, il corpo ruoterà sul proprio centro. Reagirà nella stessa maniera se lo si tira ad una delle estremità (fig. 1 e 2).
Per poter alterare l’equilibrio del corpo e sbilanciarne la posizione, bisognerà applicare la spinta o la trazione al centro del corpo. È la ragione per cui si insegna: “fate sempre fronte al vostro avversario, ma non fate mai fronte al suo attacco”.
Il centro, il perno di rotazione (il baricentro), è dunque il punto vulnerabile.
figure 1 e 2
Pratica
Vi sono molti modi di fare tai-sabaki, a destra o a sinistra, partendo da shizen-hon-tai. Si parte dai più semplici con rotazioni del corpo di 90°, fino a giungere ai più complessi con rotazioni del corpo di 180°.
Di deguito alcuni esempi classici: A e B tai-sabaki di 90°, A1 e B2 tai-sabaki semplici di 180°, CA e CB tai-sabaki progrediti di 180°.
Per assimilare rapidamente le basi del tai-sabaki, ocorre esercitarsi successivamente a tre forme graduali, da eseguire a destra e a sinistra, partendo dalla posizione di shizen-hon-tai (due piedi sulla stessa linea):
- la
prima, la più semplice (posizione A), consiste nel ruotare sul piede perno destro volgendo
tutto il corpo verso sinistra arretrando ampiamente con il piede sinistro in
semi-cerchio. E un tai-sabaki elementare a sinistra, abbastanza
corrente in difesa. Per schivare a destra, basta semplicemente invertire
il modo di operare. Questa maniera di spostarsi non utilizza tutte le
risorse del corpo;
- la seconda maniera, più efficiente (posizione B), consiste nell’avanzare con il piede
destro in semi-cerchio davanti al piede sinistro , volgendo il corpo verso sinistra e ruotando sul piede perno sinistro. Questo generalmente arretra un po’ alla fine del
movimento per accentuare la rotazione del corpo;
- la terza ci porta al tai-sabaki completo di 180° (posizione CA), consiste nel fintare un piccolo
passo del piede sinistro verso l'esterno e nel lanciare il piede destro con un passo in avanti a sinistra, facendo perno si detto piede il corpo ruota verso sinistra e il
piede sinistro è portato indietro in semicerchio parallelo al destro in posizione di shizen-hon-tai.
Lo studio di questi spostamenti deve essere ripetuto senza compagni d'esercitazione fino al raggiungimento dell’automatismo corretto del movimento.
Dopo questa forma di studio, il judoka deve sforzarsi ad applicare il
tai-sabaki in spostamento per qualunque attacco o difesa. Eviterà passi troppo
lunghi, gli spostamenti intempestivi del proprio baricentro, i gesti bruschi. Il
suo spirito sarà vigile, in maniera da non trovarsi mai in difetto e pronto ad
utilizzare ogni spostamento imperfetto dell’avversario.
Questo allenamento è difficile, ma ricco di insegnamenti, perché tutta la
cognizione del miglior impiego di energia si rivela nella pratica del
tai-sabaki. Si tratta in effetti di sottrarre il proprio corpo all’attacco
dell’avversario e di controllare continuamente il suo per scoprirvi il minimo
errore di posizione. Per riuscirvi, è imperativo frenare la tendenza naturale a
ricorrere alla forza bruta (irrigidimento delle braccia, busto piegato in
avanti, gambe troppo flesse, ecc.). La rapidità dello spostamento del corpo e
in particolare del suo centro di gravità è più importante dell’energia
impiegata dalle braccia. La prontezza con cui ci si rende noto l’apertura di
un attacco è più efficace della forza dei muscoli. Perché se questi punti così
preziosi vengono acquisiti, l’energia necessaria a padroneggiare
l’avversario sarà minore.
L’allenamento al rilassamento, alla calma dello spirito, alla sincerità e all’ardore del combattimento condurranno l’allievo serio a quello che è lo scopo principale del Judo.
N.B.
Tramite gli shintai e tai-sabaki al principiante viene insegnata la corretta forma nell'uso dei piedi, ma all'esperto viene insegnato che il movimento, nella pratica del Judo, consiste nello spostare il baricentro del corpo per mantenere sempre una corretta posizione di equilibrio e che gambe e piedi, correttamente impostati, servono a questo movimento.
Ukemi-waza (tecnica delle cadute)
La pratica delle cadute è, senza alcun dubbio, uno degli esercizi base più importanti. Il Judo, che comprende una quantità di elementi differenti quali forze di spinta e trazione, squilibri, spostamenti, proiezioni, immobilizzazioni, ecc., necessita certamente di uno studio dettagliato di queste differenti tecniche in relazione al comportamento dei due combattenti. Ma gli esercizi base destinati ad assicurare ai Judoisti il controllo perfetto del proprio corpo e dei suoi movimenti sono di una importanza fondamentale. La tecnica del cadere è destinata a ridurre al minimo l'impatto al quale è sottoposto il praticante sia quando cade spontaneamente che in seguito ad una proiezione. La sicurezza nel Judo si basa su questo equilibrio: Uke (colui che "riceve" la tecnica di proiezione) conosce l'arte delle cadute (termine familiare per indicare in realtà la “rottura di caduta”) e quindi è in grado di non ferirsi; Tori (colui che esegue la tecnica di proiezione) agisce nello spirito di rispetto per l'avversario. In questo modo la sicurezza è totale. Se uno dei due sbaglia qualcosa (e deve essere un avvenimento raro) l'altro sopperisce. L'eventualità che entrambi sbaglino contemporaneamente dovrebbe essere assai remota e quasi impossibile tra Judoisti precisi e responsabili. Ukemi, quindi, sono una garanzia e una sicurezza contro gli infortuni e di conseguenza il loro studio è alla base del progresso tecnico. Senza una buona conoscenza delle cadute si avrà sempre paura di essere proiettati e i movimenti del corpo mancheranno di flessibilità, e ci sarà una tendenza inconscia a porsi in difesa. Viceversa, se uno è profondamente esercitato in questa tecnica, tutti i movimenti potranno essere eseguiti con decisione e con una certa flessibilità fisica e articolare, permettendo rapidi progressi tecnici.
Nel Judo le cadute si dividono in:
- ushiro-ukemi (caduta
indietro)
- yoko-ukemi
(caduta laterale)
- mae-mawari (o kaiten)-ukemi
(caduta rotolata
in avanti)
- mae-ukemi (caduta frontale)
Ushiro-ukemi (caduta indietro)
Partendo da shizen-hon-tai sollevare le braccia davanti a sè fino a tenerle orrizzontali. Flettere il collo in modo da fissare con lo sguardo il nodo della cintura poichè, durante la caduta, la testa non deve toccare mai il tatami, la bocca è chiusa. Successivamente eseguire un passo all'indietro, flettersi sulle ginocchia fin quasi a sedersi sui talloni e, curvando la schiena (fissando sempre il nodo della cinta), lasciarsi rotolare all'indietro. Nell'istante in cui la schiena tocca terra battere con il palmo delle mani il tatami, come una frustata le braccia devono rimbalzare naturalmente. In questo movimento il braccio forma con il corpo un angolo di 30°. Le gambe si sollevano distendendosi e nel ricadere, controllate, sul tatami, una sarà distesa e l'altra flessa con un angolo maggiore di 90°.
Yoko-ukemi (caduta laterale)
Si esegue a destra e a sinistra. Nell'esecuzione a destra dalla posizione eretta sollevare il braccio destro davanti a sè, flettere il collo in modo da fissare con lo sguardo il nodo della cintura poichè, durante la caduta, la testa non deve toccare mai il tatami, e contemporaneamente avanzare lateralmente con il piede sinistro. Poi far scivolare la gamba destra in avanti verso l'interno, piegando leggermente il busto in avanti, e flettendosi progressivamente sulla gamba sinistra fin quasi a sedersi appoggiando la natica destra sul tallone sinistro. A questo punto, lasciarsi andare al suolo sul lato destro e battere contemporaneamente il tatami con la mano e l'avambraccio destro come una frustata, in modo che il braccio rimbalzi naturalmente. In questo movimento il braccio forma con il corpo un angolo di 30°. Le gambe si sollevano ad angolo retto rispetto al corpo e nel ricadere, controllate, sul tatami, la destra sarà distesa e la sinistra flessa con un angolo maggiore di 90°.
Per eseguire yoko-ukemi a sinistra basta invertire l'esecuzione dei movimenti.
Mae-mawari (o kaiten)-ukemi (caduta rotolata
in avanti)
Zempo-kaiten-ukemi
Come yoko-ukemi, si esegue a destra e sinistra.
Nell'esecuzione a
destra, partire da shizen-hon-tai e avanzare con il piede destro.
Piegarsi in avanti con il busto, flettere il collo in modo da fissare con lo sguardo il nodo,
flettre le due gambe (più la destra della sinistra) e posare la mano sinistra di piatto sul tappeto davanti al
piede sinistro. Appoggiare poi il bordo cubitale
della mano destra sul tappeto tra la mano sinistra e il piede destro,
le dita della mano dritte e rivolte all'indietro. Il braccio destro viene
flesso ad arco, la schiena è ricurva e la testa ben rientrata in
mezzo alle spalle. Sfruttando l'inerzia del movimento, pingersi in avanti distendendo
la gamba destra e slanciando la sinistra in dietro verso l'alto, rotolando
sul braccio, sulla spalla e sul dorso destro della schiena. Quando il fianco sinistro tocca il tappeto battere contemporaneamente il
tatami con la mano e l'avambraccio destro come una frustata, in modo che
il braccio rimbalzi naturalmente.
In questo movimento il braccio forma con il corpo un angolo di 30°.
Le gambe, controllate, ricadranno contemporaneamente sul tatami
leggermente divaricate, la destra sarà distesa e la sinistra flessa con
un angolo maggiore di 90°.
Per eseguire mae-kaiten-ukemi a sinistra basta invertire l'esecuzione dei movimenti.
Si tratta della caduta più spettacolare nel Judo. Quando viene eseguita compiendo un salto nella fase di slancio, come per tuffarsi al di la di un'ostacolo, prende il nome di zempo-kaiten-ukemi.
Mae-ukemi (aduta frontale)
È molto raro vederla eseguire, e in italia è praticamente sconosciuta.
Stando seduti sui talloni, slanciarsi in avanti sollevandosi e
irrigidendo il tronco come una "tavola". Poco prima di toccare il
tatami, allungare con dolcezza le braccia davanti a sè tenendole
leggermente flesse. Il contatto con il
suolo avviene con le mani e gli avambracci rivolti a 45° verso
l'interno in modo che le spalle e le braccia possano flettersi per
molleggiare. Questo tipo di caduta si esegue dapprima dalla posizione
inginocchiata (vedi figura), poi dalla posizione naturale eretta shize-tai.
Tori 取 e Uke 受け (colui che esegue e colui che "riceve" una tecnica)
Nella pratica del Judo, e più in generale delle “discipline” giapponesi, a volte con nomenclature diverse ma dal significato simile, si distinguono due figure basilari: Tori (取) e Uke (受け).
- Tori è colui che esegue l’azione principale nella
tecnica o nel movimento che intende studiare o dimostrare insieme ad Uke
(p.es. Kata). Nell’Aikido è definito nage (投げ).
- Uke è colui che si presta affinché Tori, applichi
nel modo migliore la tecnica o esegua il movimento che intende studiare o
dimostrare.
Tori
e Uke, per un reciproco e produttivo impegno comune, nel limite delle loro
possibilità e di quanto stanno eseguendo, devono sempre porsi, l’uno rispetto
all’altro: in posizione corretta, eseguire le giuste azioni, mantenere
costantemente l’attenzione sulla dinamica di tutto quello che sta accadendo
verso se stessi e con il compagno. In particolare Tori deve salvaguardare Uke
evitando azioni sconsiderate, eccessive o pericolose e mantenendo sempre il
giusto controllo della tecnica; di contro Uke deve sempre porsi nella condizione
più sincera e reale possibile. Tutto per il buon esito del lavoro reciproco. In
questo modo ci sono sempre due figure attive e assolutamente paritetiche, Tori e
Uke, che eseguono insieme e puntualmente i loro ruoli, con reciproco spirito di
collaborazione.
In allenamento, per una buona pratica e reciproca crescita tecnica tra i
praticanti, i ruoli di Tori e Uke devono essere assolutamente alternati.
Tra le due figure quella di Uke è certamente la più complessa e “sacrificata” sia nel Judo che nelle diverse “discipline” giapponesi. Il suo esatto ruolo può variare tra le varie “discipline” e cambiare anche in seno alle stesse a seconda delle situazioni, pur mantenendo le sue caratteristiche peculiari. Per esempio nel Judo kata e Aikido, Uke attacca Tori che quindi si difende mettendo in pratica la tecnica. Negli stage di allenamento del Jujutsu tradizionale gli studenti più giovani hanno il preciso compito di fare da Uke. Nelle arti basate sulle armi, a fare da Uke è spesso il Maestro.
L'azione di Uke è chiamata ukemi (受身), da:
ukeru v.: (1) prendere; afferrare; (2) ricevere; (3) subire; (4) essere
attaccato;
mi: corpo; persona.
Questa tecnica insegna a saper ricevere e sopportare correttamente, ed in tutta
sicurezza, un attacco di Tori. Per esempio si impara a "cadere" a seguito di una
proiezione, sia per evitare danni fisici, sia per allenare il corpo. Infatti sia
nel Judo che nell’Aikido spesso le lezioni iniziano proprio con specifici
allenamenti di ukemi. Una componente essenziale dell'ukemi è la consapevolezza.
Uke diventa abile, attraverso la pratica e l'esercizio, a rispondere velocemente
a qualsiasi azione. Un ukemi realmente aggraziato si ottiene attraverso un serio
allenamento e con un buon equilibrio armonico sincretico con il compagno: Tori.
Per arricchire e completare ancora di più la conoscenza di Tori e Uke proponiamo questo brano di Saotome Sensei (五月女貢, Saotome Mitsigi), allievo diretto di O’Sensei (植芝盛平, Ueshiba Morihei), che affronta un aspetto basilare della pratica dell’Aikido affine alla pratica del Judo, su cui ognuno dovrebbe concentrarsi.
Tratto da “LA VIA DEL BUDO – I principi dell’Aikido”
La pratica dell’Aikido richiede la presenza di un partner (ndr come nel Judo). Alcuni esercizi possono essere compiuti da soli per valutare la propria forza e le proprie risorse tecniche, ma la chiave per un buon allenamento è nell’interazione che si stabilisce tra Uke e Nage (Tori). Alcuni semplificano le definizioni di Uke e Nage in “attaccante” e “difensore”. Ma è una semplificazione che fuorvia dalla vera natura e dall’importanza dei ruoli di Nage e Uke. Più correttamente, Nage significa “colui che proietta” e Uke “colui che riceve la forza”. Ragionando in termini di attaccante e difensore si finisce con l’identificare Nage come colui che viene attaccato ed esegue le tecniche ed Uke come una sorta di manichino con cui Nage si esercita. Niente potrebbe essere più lontano dalla verità.
Ukemi è l’arte di essere Uke, e la qualità della pratica di Nage dipende da come Uke ha imparato quest’arte. Ukemi crea le condizioni che rendono una tecnica appropriata, reagendo correttamente ai movimenti di Nage, ed accettando qualsiasi tipo di caduta che concluda la tecnica. In breve, Uke è responsabile della creazione delle condizioni che consentono a Nage di imparare. Se Uke non ha il senso degli effetti di una tecnica, né elasticità, o reattività nei confronti dei movimenti di Nage, o se ha paura ed è goffo nelle cadute, Nage non sarà in grado di studiare la tecnica con efficacia.
Nell’esecuzione di qualsiasi tecnica i praticanti devono alternarsi nei ruoli di Uke e Nage. Ma dovete considerare il tempo che passate nel ruolo di Uke non come una sorta di intervallo che vi separa dal momento in cui assumerete quello di Nage, quanto piuttosto come un’opportunità di imparare l’importanza del ruolo di Uke, uguale o addirittura maggiore di quella di Nage. Infatti, coloro che eccellono nell’ukemi eccelleranno più facilmente nelle tecniche, per la ragione che saranno più abili nell’assorbire la conoscenza -attraverso il corpo- delle sensazioni che si provano durante una tecnica ben eseguita, assorbendo la conoscenza anche attraverso la mente. Sviluppare un buon ukemi è la via più breve per acquisire abilità in Aikido (ndr e, perché no, anche nel Judo).
Subire ukemi non significa che svolgete il ruolo del perdente. E’ uno studio sulla comunicazione, sulla percezione e sulle capacità di autoconservazione. Ancor più è un mezzo per esercitare un controllo su voi stessi e su quanto vi circonda.
L’allenamento ukemi ha un grande merito dal punto di vista fisico; rafforza il corpo ed aumenta la flessibilità. Inoltre, più vi sentirete a vostro agio nell’ukemi, maggiore sarà il divertimento nella pratica dell’Aikido. Raggiungere il divertimento nella pratica non vuol dire far venir meno la concentrazione; potete essere rilassati ed al contempo seri."
(Grazie ad Aikido Terni dal cui sito è tratto quest'articolo, lavoro di Rino Bonanno, e a Mizu Dojo Aikido Perugia che lo ha riproposto)
Le due fondamentali sono:
Kumi-kata da migi-shizentai (kumi- kata destro)
Per eseguire la presa nella posizione migi-shizentai, con la mano sinistra si deve afferrare l'esterno della manica destra del Judogi dell'avversario all'altezza del gomito, la presa va effettuata partendo dalle dita mignolo e anulare, poi seguono le altre, mentre il pollice, benché faccia presa, va mantenuto in riposo; con la mano destra si deve afferrare il bavero del colletto del Judogi dell'avversario all'altezza del pettorale sinistro, con il pollice all'interno del Judogi. Le braccia non devono mai essere distese.
È la presa che si adatta meglio a qualsiasi movimento di attacco e di difesa; la più facile per squilibrare l'avversario in tutte le direzioni. È anche quella che offre meno occasioni per subire leve articolari (kansetzu-waza).
kumi-kata da hidari-shizentai (kumi-kata sinistro)
Si esegue nella stessa maniera descritta sopra, ma invertendo la posizione del corpo e delle mani.
Kumi-kata da migi-shizentai
N.B.
In pratica vi sono diverse kumi-kata o maniere di prendere l'avversario al Judogi. Non vi è, in teoria, nessuna presa definitiva e si può scegliere quella più adatta allo scopo prefisso ma, attenersi alle kumi-kata fondamentali, è il mezzo migliore per portare tutte le proiezioni principali. Se le modificherete leggermente, evitate gli eccessi o le deformazioni del genere “afferrare le due maniche”, “afferrare la cintura”... Queste pratiche possono farsi, ma la loro applicazione sistematica deve assolutamente essere evitata. Questo sarebbe il mezzo migliore per arrestarsi ad un Judo parziale, che non permette di progredire.
Le fasi di una tecnica di proiezione
Il principio fondamentale per eseguire una tecnica di Judo con la massima efficacia e il minimo sforzo è quello di porre in squilibrio il corpo dell’avversario. Le fasi che consentono di mettere in pratica una tecnica di proiezione sono:
- Kuzushi
("rottura di posizione e disequilibrio")
- Tsukuri
("squilibrio e migliore preparazione alla proiezione")
- Kake (proiezione)
Questi tre momenti sono contemporanei ma si differenziano nella didattica per una migliore comprensione.
Kuzushi ("rottura di posizione e disequilibrio")
Il termine kuzushi significa "rompere" o "deformare la posizione". Poiché si possa manovrare con un minimo di forza l'avversario e farlo oggetto di una proiezione (ma anche di una lussazione e uno strangolamento) è necessario rompere la sua posizione naturale e porlo in una condizione di disequilibrio che, attraverso lo tsukuri, giungerà allo squilibrio.
I kuzushi, rispetto al corpo nello spazio, sono infiniti come i punti di una sfera che circonda una persona; se ne ha comunque una classificazione convenzionale, detta happo-no-kuzushi, con otto direzioni fondamentali di squilibrio che corrispondono agli otto punti cardinali e ordinali di un'ipotetica "rosa dei venti" del kuzushi. Per applicare efficacemente una proiezione su un avversario, questi dovrà essere perfettamente squilibrato nella direzione giusta. Ogni tecnica necessita del suo kuzushi specifico.
Le otto direzioni principali del happo-no-kuzushi
Nel linguaggio tecnico del Judo il kuzushi è sempre riferito ad Uke, quindi uno squilibrio indietro a destra vorrà dire che Uke sarà sbilanciato all'indietro e alla sua destra.
Tsukuri ("squilibrio e migliore preparazione alla
proiezione")
E' l'adattamento che viene effettuato da Tori (generalmente) dopo avere spezzato l'equilibrio di Uke. Lo tsukuri permette a Tori di disporsi nella posizione migliore per applicare efficacemente la tecnica di proiezione mantenendo Uke in squilibrio. Ogni tecnica ha i suoi tsukuri più indicati.
Kake (proiezione)
E' l'atto stesso di proiettare l'avversario ed è dunque l'applicazione della tecnica che conclude l'azione cominciata con il kuzushi e proseguita con lo tsukuri.
Michiaku ("il contatto")
Letteralmente la parola michiaku vuol dire contatto, ma nel Judo il
significato di questo termine è intraducibile perché esprime un
concetto, uno stato di “unione” sinergica in cui due corpi vengono a
trovarsi durante un’azione, di trazione o di spinta, generalmente una
proiezione, senza che il ritmo ne sia interrotto e l’equilibrio
spezzato.
Nell’esecuzione di una tecnica, idealmente suddivisa in kuzushi, tsukuri e
kake, il michiaku è da considerarsi come il collante di queste tre fasi.
Il momento più critico è quello del passaggio tsukuri-kake, durante il
quale lo sbaglio abituale è di allentare il michiaku per un istante,
istante fatale utilizzato dall’avversario per ritrovare il suo
equilibrio e interrompere l'azione.